di Laura Rainone
Filostrato: “…Eccomi, potente Teseo.”
Teseo: “Dì un po’, che passatempo hai in serbo per stasera? quali spettacoli, quale musica? Come potremo ingannare queste ore pigre se non con qualche divertimento?”
Sono alcune fra le parole che Teseo, duca d’Atene, e Filostrato, suo cerimoniere, si scambiano durante l’ultimo atto della commedia shakespeariana Il Sogno di Una Notte di Mezza Estate.
E come non ripensarle per tornare ad una delle tante serate che si sono svolte nella fascinosa piazza Santo Stefano, e approfittare per parlare di itinerari della bellezza e di incontri inaspettati e sorprendenti.
Conoscere personaggi, tempi e luoghi a volte trascurati a causa di una scarsa educazione estetica, e non solo, aiuta a destare gli sguardi e a riflettere sulle cose dell’arte, ad entrare nella dimensione spazio-temporale di ciò che si osserva. I luoghi non sono semplici rappresentazioni e testimonianze del passato, ma sono vissuto attivo, in grado di restituire costantemente alla memoria i simboli della cultura.
Il complesso monumentale di Santo Stefano di Bologna appare, fin dall’approssimarsi nella via prospiciente, come un rifugio della storia, con originale ed illusorio alternati in modo quasi incomprensibile. Si, perché le cosiddette “Sette Chiese”, che sono 4 in realtà come ha sottolineato più volte lo storico dell’arte Eugenio Riccomini, hanno visto anche il Gozzadini e il Collamarini nelle molteplici operazioni di restauro che si sono succedute. Ma anche questo fa parte dell’essenza del tempo: sopravvivere con l’imperfezione dei propri frammenti e con i cambiamenti dell’oggi, per insegnare ancora, per ispirare e rivelare.
Nell’attraversare lo spazio di Piazza Santo Stefano e nell’oltrepassare il portone d’ingresso dell’intero luogo di culto, ogni viaggiatore, ogni visitatore, e soprattutto chi come me a Bologna non è nato, potrà scorgere lungo il cammino qualcosa di proprio, ed assorbire la suggestione regalata da una determinata forma o da un particolare inaspettato colore.
Ad ogni colpo d’occhio, la mediazione dell’arte e delle architetture è in grado di trasferire la più estesa e complessa storia della cultura, come avviene sempre del resto: dettagli che rimandano e rievocano, come per esempio gli ornati e le figure dei bassorilievi sui sarcofagi dei Santi Vitale e Agricola, che richiamano il gusto ravennate e sono databili fra l’VIII e il IX secolo, oppure un elemento marmoreo posto nel chiostro romanico, quello recante il profilo di un pavone, che lascia pensare all’esistenza di un possibile ambone dell’antica chiesa, o ancora nel cortile il cosiddetto “Catino di Pilato”, che già nel nome evoca la Passione, riferendo così quell’idea che proprio alle vicende della Passione vuole veder intitolato il complesso delle chiese, e la lapide romana che indica che anticamente vi si venerava la dea Iside o, infine, la narrazione stessa della tradizione medievale secondo cui sarebbe stato il Vescovo Petronio a decidere la trasformazione del luogo.
E poi la cripta. E’ stata edificata con materiale di recupero e con colonne l’una differente dall’altra, e come ogni cripta custodisce le sue leggende, metafore della vita di fede.
Insomma, il luogo va scoperto nella sua interezza, perché è inatteso ad ogni passo. Si viene presi dai bui passaggi che impongono rispetto, e continuando nel cammino si giunge fino al monastero, e poi alla luce del chiostro, dove si respira pace e riflessione.
Tornando all’esterno, la piazza appare come un triangolo e, se vista dall’alto, sembra posta al centro di un manto di tetti, divenendo così parte integrante ed imprescindibile della quotidianità, e delle attuali faccende della comunità.
Preservare la memoria è un valore da condividere e la riconoscenza verso l’eredità è già una traccia di riconquista.